
Nell’intraprendere questa nuova avventura, che coincide anche con una tappa importante della mia vita, ho posto a me stesso una domanda: Perché ho scelto il cedro?
Non riesco a stabilire una data a partire dalla quale ho deciso di occuparmi di cedricoltura. La memoria mi porta ai tempi della mia fanciullezza, perché io stesso sono cresciuto tra i campi di cedro e quelle “spine amare” hanno ferito anche me.
Ritengo che la mia vita sia legata a doppio filo con questa coltura e, se mi soffermo per un istante, riaffiorano nella memoria tanti ricordi. Da bambino ero curioso e ricordo che, sgomitando tra i grandi, cercavo sempre di intrufolarmi nella cosiddetta “rodda” – un cerchio di persone che discutono tra di loro animatamente – e un mio concittadino, puntualmente, mi allontanava con il braccio perché non era ritenuta una cosa per bambini. Era il mese di ottobre e, dopo un lungo ed estenuante lavoro, si discuteva principalmente del raccolto e del mercato dei cedri.
Ci fu un episodio, però, che mi colpì particolarmente ed è legato ai miei genitori. Una mattina di settembre mi trovai nella cedriera di famiglia assieme ai miei genitori quando a un tratto, dopo un violento temporale, il sole fece capolino tra le nuvole illuminando con i suoi caldi raggi il volto di mia madre, lasciando intravedere le sue lacrime, mentre mio padre le tratteneva a stento. Di fronte ai nostri i cedri verdi, brillanti, bellissimi come li avevo visti fino a qualche giorno prima, divennero in quel preciso istante imperfetti e maculati a causa di una malattia fungina detta Lupa. Solo allora riuscì a comprendere la disperazione dei miei genitori, e di tutti i cedricoltori, nel veder sfumare in un battito di ciglia il lavoro di un’intera stagione. Da qui la mia frase “il cedro è un frutto disperato dal profumo ineguagliabile”.
Ho scelto di interessarmi di cedricoltura per pagare un debito di riconoscenza nei confronti di mio padre e mia madre, che per me rappresentavano la voce di tutti i cedricoltori, i quali affrontavano da sempre le stesse problematiche, tra le quali una in particolare era come una ferita aperta: le speculazioni dei commercianti che operavano fuori regione i quali, facendo cartello, toglievano dignità e guadagno ai coltivatori di tutto l’Alto Tirreno Cosentino.
Quando pensai alla costituzione del Consorzio avevo bene in mente la visione lungimirante che avrebbe portato, attraverso gli insegnamenti del mio mentore Don Francesco Gatto, a liberare i cedricoltori dal giogo dei potenti e a fare del cedro l’elemento di rivalsa sociale della nostra terra.
Negli anni 2000 la cedricoltura era alle strette. I contadini erano sfiduciati e si era perso ogni interesse verso il cedro. Nello stesso anno, però, per evitare che questa nostra coltura-cultura svanisse nel nulla, vennero costituite le due colonne portanti del cedro: il Consorzio del Cedro di Calabria e l’Accademia Internazionale del Cedro.
Fu il 2017, però, il banco di prova per tutti coloro che vivono di cedricoltura e per il Consorzio. È servito a me stesso per capire se stavo guidando l’Ente consortile nella giusta direzione. In quell’anno una tremenda gelata colpì il nostro territorio, distruggendo il 95% dei cedreti e, con essi, ogni speranza di guadagno per il lavoro svolto. Fu un vero e proprio dramma per i cedricoltori che si trovarono di fronte a una scelta: abbandonare i campi o credere ancora nel valore e nelle potenzialità di questa antichissima coltura. L’amore e la passione per il cedro e per il territorio spinsero tutti i cedricoltori a credere ancora nella loro “missione” e se in quel momento i coltivatori scelsero di restare sulla via del cedro lo si deve anche alle azioni di tutela messe in campo.
Oggi il cedro parla un linguaggio universale e rappresenta l’opportunità per tutto il territorio di parlare al mondo. La Via del Cedro di Calabria non è che la sintesi di tutte le azioni di tutela, promozione, valorizzazione e commercializzazione che il Consorzio del Cedro di Calabria porta avanti da oltre vent’anni. Sono consapevole che la strada è ancora lunga ma oggi si vede un orizzonte. Per fare le cose occorre il tempo che occorre.
«Abbiamo l’onore e l’onere di portare sulle nostre spalle un elemento di profonda sacralità, simbolo di un riavvicinamento con Dio, un tempo chiamato mêlon oggi chiamato cedro»
(Don Francesco Gatto, 28 feb. 1968)
Il Presidente
Consorzio del Cedro di Calabria
Angelo Adduci