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Santa Maria del Cedro - Marcellina

Aggiornamento: 7 apr 2021

Nel 510 a.C. Sibari fu sconfitta da Crotone nella tremenda battaglia del Traente. I superstiti di quello scontro, narra Erodoto, distrutta ormai la città achea sullo lonio, si rifugiarono a Scidro e a Laos, sul Tirreno. Da quel momento Laos, nel territorio dell'odierna Marcellina di Santa Maria del Cedro, diventò colonia sibarita e dal 500 a.C. iniziò a coniare monete d'argento con il TORO ANDROPOSOPO. Ma prima dell'arrivo dei profughi sibariti che città era Laos? Strabone, geografo di epoca Imperiale, riferisce che si trattava di un paese sorto sulle rive del fiume LAO, che divideva la Lucania dal BRUZIO. Si trattava pertanto di una città di confine e lo stesso Strabone la definisce "colonia di Sibari, poco elevata sul mare, distante 400 stadi da ELEA, Inoltre informa che si trovava vicino all' HEROON DI DRACONTE, dove un giorno si sarebbe consumata la strage dei Greci del 389 a.C. Laos perciò non doveva essere una colonia sibarita già prima dell'arrivo dei superstiti della guerra perduta con Crotone. L'insediamento sul Lao probabilmente esisteva già e si trattava di un modesto villaggio indigeno, poco più di una borgata, abitato tra la fine del 600 e l'inizio del 500 a.C., con una cultura come quella delle zone interne della Lucania. Diventerà una colonia di esuli, che forse tenteranno persino di tare della città nell'immediato entroterra tirrenico la base di un'improbabile rinascita della madrepatria quasi del tutto scomparsa.

E così ormai non si crede più, come un tempo, che esistessero tra Laos e Sibari traffici commerciali regolari e continui, tali da fare della città sul Tirreno uno scalo sibarita, raggiunto attraverso una VIA ISTMICA. Dal 510 a.C. fino alla battaglia del 389 sono poche le notizie su Laos, desunte dalle monete del 400 a.C. e dal conio di pietra di una dracma incusa trovato a Marcellina. Le testimonianze su questa antica città sono quasi tutte del 300-200 a.C. e provano l'esistenza sulle colline di Marcellina di una città lucana, Laos, appunto, originariamente ENOTRIA. Anzi Laos si ritiene che fosse un "cuneo dell'Enotria", dell'Italia, in cui erano praticati fin dalle epoche più antiche, e comunque a partire dal VII sec, a.C., l'agricoltura e il commercio anche con i Greci delle colonie. La strage di Greci nella battaglia del 389 a.C. portò in ogni caso al controllo del territorio da parte dei Lucani, per cui Laos sarebbe ritornata nell'orbita di questo popolo italico fino all'arrivo dei Romani. Laos insomma era stata occupata dai Lucani prima di questa battaglia, e precisamente alla fine del V secolo. I greci di TURI, narra Diodoro Siculo, storico di Agirio presso Enna, autore della Biblioteca in 40 volumi, volevano punire con una spedizione militare i Lucani, che spesso facevano scorrerie nei loro territori, e nel 389 a.C. aggredirono Laos, ritenuta città "prosperosa". Giunsero in Lucania con un esercito di 14 mila fanti e 1000 cavalieri e contavano di conquistare Laos anche in virtù dell'alleanza con la lega italiota. All'inizio l'avanzata in territorio lucano non incontrò ostacoli, ma quando si trovavano già nei pressi di Laos e la città sembrava a portata di mano i Greci furono ricacciati in una valle e accerchiati. Seguì una furiosa battaglia e l'esercito greco venne sterminato da quello lucano forte di 30.000 fanti e 4.000 cavalieri. Fu una vera e propria strage e solo pochi tentarono di salvarsi lanciandosi in mare, sicché riuscirono a entrare in contatto con la flotta di Dionisio, tiranno di Siracusa. Li credevano amici e invece i siracusani si erano alleati con i lucani, così che non restò loro di chiedere al comandante della Flotta, Leptine, fratello di Dionisio, di salvar loro la vita. E così si avverò quanto era stato vaticinato dall’oracolo. “Presso Draconte di Laos molta gente un giorno perirà”.

Dopo la battaglia del 389 a.C. gli storici ipotizzano un periodo non certo molto lungo di convivenza tra Lucani e profughi sibariti, inseriti così in un contesto politico lontano da quello della terra d'origine. Non si sa molto su questo periodo, fino al 330 a.C., quando la città sul Lao andrà incontro a profonde trasformazioni. Una di queste è la costruzione dell'abitato di Marcellina. La colonia, o secondo altri la sub-colonia, sibarita di Laos in che rapporti era con la città ionica? Intanto solo dopo il 510 a.C. si può parlare di un insediamento sibarita sulle rive del Lao, il fiume cui si deve il nome della città. Pertanto era sì una colonia di Sibari, e non una sub-colonia, ma dei sibariti fuggiaschi. E questo porta ad escludere che si trattasse di una città che avesse rapporti regolari con la colonia achea. Così è assai improbabile che Laos fosse uno scalo commerciale di Sibari sul Tirreno, raggiungibile per via istmica, attraverso la valle dell'ESARO e del passo dello Scalone o seguendo l'itinerario Coscile-Campotenese-valle del Lao. Se relazioni commerciali ci furono, avvennero senza caratteri di continuità e regolarità. La stessa monetazione, conio incluso, di per sé non consente teoremi diversi da quelli resi possibili dalle testimonianze avanzate della città antica, piuttosto rare, mentre più numerose sono quelle di epoca lucana.

La scoperta avvenne per caso, durante la costruzione della statale 18, nel 1929. Sulla collina di San Bartolo, a Marcellina, vennero alla luce consistenti tracce di un antico insediamento urbano. Edoardo Galli poté osservare per primo una cinta di mura a scacchiera, come si direbbe oggi, a blocchi di puddinga e blocchetti di calcare alternati. Confrontandola con le notizie di Strabone, venne fuori l'idea della città di Laos di Lavinium Bruttiorum, riportata nella Tabula peutingeriana, sulla destra del fiume Lao. Ma le successive ricerche di Pier Giovanni Guzzo hanno dimostrato che quella cinta muraria è del IV sec. a.C. e non di epoca romana. Gli scavi archeologici e le dalla Soprintendenza della Calabria e curati da Emanuele Greco, dal 1983 con la collaborazione di Alain Schnapp, consentono oggi di avere un'idea dell'impianto urbanistico scientificamente fondata. E così si viene a sapere che le mura di cinta di Laos si sviluppavano su un fronte di 3Km e racchiudevano un'area di 60 ettari. Le stesse dimensioni insomma di Pompei, la città sommersa dalle eruzioni del Vesuvio nel 69 d.C. Greco e Schnapp hanno trovato anche una plateia di oltre 12 metri in senso Nord-Sud, con la quale incrociavano in forma ortogonale due strade Per di più il ritrovamento di diversi tondelli di bronzo ha fatto risalire alla zecca di Laos, del III sec. a.C.

Nella parte meridionale della città poi sono state scoperte tracce di fornaci, che attestano un'attività piuttosto diffusa di ceramisti, che producevano vasi a vernice nera. Laos pertanto venne creata nella seconda metà del IV sec. a.C. e precisamente nel periodo in cui, in ambiente lucano, le popolazioni locali provvidero a fornirsi di istituzioni cittadine e di strutture politiche tra loro correlate. Ma alla fine del II secolo Laos venne distrutta o abbandonata al tempo della seconda guerra punica. Tutta la regione, racconta con brevi cenni Silo Italico, poeta dell’età dei Flavi, venne messa a ferro e a fuoco dalle truppe di Annibale, e Plinio Il Vecchio conferma che ai suoi tempi la città sul Lao era ormai scomparsa. Una certa ripresa si ebbe in seguito, come dimostrano i resti di una villa romana in collina, inserita in un paesaggio prevalentemente rurale.

E dopo Annibale, la conquista romana. Che ne fu di Laos dopo la seconda guerra punica? L'esercito cartaginese aveva devastato l'interno della Lucania, fino a provocare la scomparsa di intere città. Questa sorte toccò anche a Laos, sul finire del III sec. a.C. Si vuole che la città fosse in seguito risorta con il nome di Lavinium, che dovrebbe essere la latinizzazione di Laos. L'una e l’altra denominazione riportano al fiume Lao, come dice anche Plinio il Vecchio, sulle cui rive sarebbero state costruite le due città, secondo l'uso antico di fondare centri abitati in prossimità di grandi corsi d'acqua. E in effetti il Lao è tuttora un grande fiume, anche se oggi è povero d'acqua, mentre si pensa che nell'antichità fosse addirittura navigabile. Tuttavia è più probabile che Lavinium fosse sul litorale o in ogni caso più vicino alla linea di costa e pertanto deve essere collocata vicino a Scalea, dove sono stati riportati alla luce ruderi di ville mosaici e rilevanti tracce di sistemi abitativi di epoca romana. Nel territorio un tempo di Laos sorse invece Marcellina, ma non nello stesso perimetro urbano della città lucana. Si pensa anche ad un oppidum in funzione anti cartaginese, ma a questo punto le notizie diventano contraddittorie e incerte.

In ogni caso le distruzioni di Annibale e la romanizzazione dell'entroterra tirrenico provocarono l'impoverimento di una terra ritenuta un tempo prosperosa. I boschi vennero completamente distrutti per le esigenze militari di Roma e le attività agricole legate all'economia di una città portuale. Fra il Lao e l'Abatemarco si venne poi a formare il terreno acquitrinoso della Bruca, vicino al mare.

Sotto l'Impero d'Oriente vennero riattate molte torri per difendersi dai Longobardi. In tutto l'attuale territorio di Santa Maria del Cedro ve n'erano almeno tre, in gran parte uguali a quelle di Paestum. C'erano la Torre Longa, vicino al mare, la torre Nucito e quella di SANT'ANDREA (oggi sede della Biblioteca comunale). La decadenza in cui piombò tutta la zona non si arrestò neppure nei secoli successivi, nonostante lo svilupparsi operoso del Monachesimo, che cercò di ristrutturare l'agricoltura, favorire il commercio e di far rinascere l'interesse per le arti e per le lettere. Nel 1060 poi l'Arx, la rocca, di Abatemarco venne conquistata dai Normanni e, una volta costituito il feudo, tutto il territorio intorno, sotto le dominazioni angioina e aragonese, divenne proprietà delle più grandi famiglie, tra le quali quelle dei Loria, dei Pignatelli, dei Carafa e dei Brancaccio. Una certa ripresa economica si ebbe con Arturo Pappacoda nel sec. XV. Gran Siniscalco del re Ladislao, fece ritorno a Napoli, dove fu sepolto vivo e non si seppe mai per quale motivo. A questo feudatario, che pare fosse anche amante della regina Giovanna II, si deve la statua di San Michele in legno di ulivo, rimasta a lungo nella chiesetta costruita a fianco della rocca di Abatemarco nell'XI secolo.

Nel 1514 i Carafa cedettero Abatemarco a Scipione Brancaccio e quattro anni dopo la rocca passò ai Bruges, che la ricevettero da Carlo V insieme con il feudo di Cirella. Passò poi ai Greco almeno fino al 1668. In questo periodo la Torre della Bruca, un avamposto militare, venne affidata prima al caporale Giuseppe Castaldo e poi a Vincenzo Motta.

E venne il turno dei Brancati. Nacque allora il borgo di Cipollina, voluto da Andrea Brancati, appunto, che ad ABATEMARCO si ritirò, dopo aver abbandonato Napoli. Si era negli ultimi anni del Seicento, quando Brancati decise di adattare il Casale a palazzo baronale e lo chiamò Cipollina, che corrisponde al centro storico di Santa Maria del Cedro. I Brancati tennero il feudo fino al 1806, fino al tramonto della feudalità. In seguito all'arrivo delle truppe francesi, l'ultimo feudatario della famiglia, Francesco Maria, abbandonò il paese e si trasferì a Diamante. Le truppe di occupazione, al comando del generale Brehaffa, fucilarono nei pressi di Scalea un intellettuale di grande valore, nativo di Cipollina. Si tratta di Giovanni Langillotta, studioso della geometria piana di Euclide e appassionato lettore di scritture sacre. Dopo l'Unità d'Italia Cipollina entrò a far parte del Comune di Verbicaro e poi di quello di Grisolia, di cui fu la principale frazione fino al 1948, quando divenne comune autonomo. Nel suo territorio venne compresa la frazione di Marcellina e nel 1955 si decise di adottare la denominazione di Santa Maria, in quanto, dice Gherard Rholfs, Cipollina era "nome riguardato troppo volgare". Nel 1968 infine venne decretata l'attuale denominazione del Comune, e cioè Santa Maria del Cedro che richiama l’importante ed esclusiva produzione di questo frutto.

Dopo Pappacoda altri feudatari provvidero adampliare l'area urbana. Sotto i Carafa, succeduti ai Sanseverino, venne costruito, al di là della Torre di Sant'Andrea, il Casale, un grosso edificio progettato all'inizio come un quadrilatero e destinato ad accogliere i contadini del feudo. Nel suo perimetro si trova oggi la principale piazza di Santa Maria e tuttora gli abitanti lo chiamano con il nome originario. Oggi il paese ha un'estensione di 18,70 Km2 e conta 4.939 abitanti. Bagnato dal fiume Abatemarco si sviluppa lungo la sezione meridionale dell'antico Sinus Laus, l'attuale Golfo di Policastro, e confina a Nord con Scalea e Orsomarso, e a Sud col torrente Acchio della Palazza, che lo separa da Grisolia. Ad Est confina invece con le alture appenniniche del Cozzo Pellegrino (m 1987) e della Mula (m 1931). Oltre alla frazione Marcellina, il Comune di Santa Maria del Cedro comprende altre località quali Abatemarco, San Michele, Sant'Andrea, Foreste, CARCERE IMPRESA, San Bartolo, Grotte, Bonia, Perato, Pioppo Valline, Granata, Fosse, Pantani, Santoro, Vizioso, Moscatella, Cozza di Patacca, Bordiero, Destri. Molte di queste contrade sono diventate veri e propri centri abitati. In una posizione poco elevata sul mare c'è per esempio Destri, dal clima piacevolissimo. Alcune, Granata e Bordiero, ai margini della statale 18, sono oggi popolosi quartieri turistici. Il centro storico è ad appena 16 metri sul livello del mare e a 2km dalla litoranea. Il territorio del Comune, quasi tutto in pianura, è di origine alluvionale e quello lo rende fertile e adatto a colture ortofrutticole. Tutta l'economia del paese è basata infatti sulla produzione di ortaggi, cereali, frumento, olio d'oliva, agrumi e specialmente cedro. Negli ultimi anni si è sviluppata una notevole attività turistica, basata sull'offerta di una rete alberghiera di varia e articolata tipologia ricettiva. La non elevata altitudine sul livello del mare e il clima mite e salubre, fanno di Santa Maria del Cedro uno dei centri più graditi dai turisti. |l paese è graziosamente inserito alla fine della vallata verde di cedriere e uliveti, da cui si diffonde un profumo intenso e inimitabile.

Dopo una giornata di mare, ritornare all'antico centro di Cipollina significa godere fresche notti estive, mentre lontano, eppur vicino, il mare intavola antichi e suggestivi dialoghi con la luna, in un cielo sereno di stelle complici e splendenti. Sono le celebri, incantevoli notti tirreniche di Calabria, che richiamano miti magnogreci e tradizioni bruzie, ricchi di eros e di magia, in riva ad un mare dove sboccano fiumi carichi di storia e di leggende.



Foto

Pino Lo Tufo - Vittorio Vitale




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